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Un’esperienza personale tra illusioni, realtà e controllo di gestione

· 4 min read
Carlo Camusso
CEO di Fattura24.com

Il mio primo business plan: entusiasmo, incentivi pubblici e… il cassetto

Avevo poco più di vent’anni quando ho redatto il mio primo business plan. Programmavo già da qualche anno e, tra un esame universitario e l’altro, sentivo crescere una voglia irrefrenabile di fare impresa. A quei tempi, tra fondi comunitari e bandi nazionali, c’erano molte opportunità per chi aveva un’idea e sapeva presentarla bene.

Ecco: “presentarla bene”.

Il business plan non era, in quel momento per me, uno strumento di verifica o progettazione strategica. Era, semplicemente, un biglietto d’ingresso per accedere ai finanziamenti.

Non serviva per me, serviva per “loro”: enti, banche, consulenti.

Una volta ottenuti i soldi, quel documento è stato archiviato. Mai più riaperto.

Oggi riconosco che fu un’occasione persa. Non solo per l’utilizzo pratico del documento, ma per la mancata opportunità di imparare a leggere la mia idea imprenditoriale attraverso i numeri.

Quando il business plan non è (solo) una formalità

Qualche anno più tardi, con l’esperienza in tasca e un nuovo progetto da presentare – quello che oggi è Fattura24 – mi sono ritrovato di nuovo a redigere un business plan.

Di nuovo, per terzi: incubatori, investitori, advisor.

Ma, stavolta, qualcosa era cambiato.

Quel documento mi ha costretto a imparare. A capire. A distinguere tra conto economico e conto capitale, tra costi fissi e variabili, tra investimenti e spese operative.

È stato uno strumento didattico, non solo burocratico. Anche se non l’ho più aggiornato regolarmente, come sarebbe stato opportuno, ha lasciato una traccia profonda nella mia consapevolezza imprenditoriale.

Il business plan come palestra (non come oracolo)

C’è una frase di Mike Tyson che mi piace molto: “Tutti hanno un piano finché non prendono un pugno sul naso”. Ecco, il business plan è il piano. Il pugno sul naso arriva il primo giorno in cui si va davvero sul mercato.

Il business plan ti fa immaginare un futuro lineare, una crescita ordinata, dei margini ragionevoli. La realtà è che la distanza tra previsione e consuntivo è spesso abissale. Ma è proprio in quella distanza che nasce il controllo di gestione.

Dal business plan al controllo di gestione

Un business plan statico, una tantum, ha senso solo come esercizio iniziale. Ma per governare davvero un’impresa, serve aggiornarlo costantemente. E qui entra in gioco il controllo di gestione.

Il business plan ti impone di costruire un conto economico previsionale, una proiezione dei ricavi, dei costi diretti e indiretti, del margine operativo. Ma solo il controllo di gestione ti permette di:

  • confrontare le previsioni con i risultati reali;
  • capire dove e perché c’è stato uno scostamento;
  • intervenire tempestivamente per correggere la rotta.

In pratica, il business plan accende la luce. Il controllo di gestione la tiene accesa ogni giorno.

Non serviva al business. Serviva a me.

Forse il business plan non serve direttamente al business. O almeno non sempre. Ma serve all’imprenditore. È la palestra dove imparare a scrivere nero su bianco la propria idea, a quantificare, a proiettare, a mettersi in discussione. Se non sai farlo, forse non sei ancora pronto per avviare un’impresa.

Il business plan non è la rosa dei venti che ti guiderà in ogni momento. Ma ti aiuta a diventare un marinaio migliore. E in mare, si sa, può essere violento.

Conclusione: business plan e conto economico, alleati silenziosi

Il conto economico è a mio avviso una delle seziono più importante del business plan, e lo scheletro attorno a cui costruire il controllo di gestione. È lì che si confrontano sogni e numeri. È lì che si misura la sostenibilità di un’idea.

E anche se spesso è noioso, deprimente, difficile da scrivere, vale la pena imparare a farlo bene. Non per accedere a un bando o impressionare un investitore, ma per diventare, giorno dopo giorno, un imprenditore più consapevole.

Alla prossima!
Carlo